Ultima fermata: L’Incubo!

Non vedevo l’ora di poter usare questo titolo, che per chi non lo sapesse è il titolo della storia  dove si incontrano Dylan Dog e Martin Mystere, che per chi non li conoscesse…beh avete avuto un’infanzia triste.
Nella racconto in questione si parlava proprio di metropolitane, di quella di Londra in particolare.  Con la differenza che  una era un racconto di fantasia, mentre quella che state per leggere è la pura e assurda realtà.


Cominciamo quindi un altra storia, un AltroQuando.
Innanzitutto devo dire che a differenza degli altri articoli fin qui scritti, se non quello su Tor di Valle, questo posto non è visitabile, assolutamente.
Per caso qualcuno ci si è trovato e ora è possibile raccontare la sua storia. Lo farò per comodità in prima persona, ma ci tengo a precisare che io non sono mai entrato. Parola di lupetto.
Tutto inizia un giorno, quando ricevo una chiamata da una persona, che per privacy chiameremo “Mio Cugino”, che mi dice di aver trovato un muro con un  buco  da cui esce della luce.
In questo momento vi starete domandando chi è “Mio Cugino”.

“Mio Cugino” è quella  persona che tutti vorrebbero avere come amico, quello con cui esci per fare delle cose e ti ritrovi a cadere in una tomba, dove perdi anche le chiavi di casa, quello che ti dice in montagna “tranquillo è la prospettiva” e ti ritrovi aggrappato ad uno sperone di roccia con 1800 metri di strapiombo sotto di te, quello a cui mandi un messaggio chiedendo se ha un vestito da prete e ti risponde “Certo” Ne ho due!”, insomma “Mio Cugino” è quella persona con cui se sopravvivi stai veramente bene.
Ma torniamo a noi.
Neanche era finita la frase che già ero pronto per andare a vedere cosa si nascondesse dietro questo fantomatico buco, e cosa fosse quella luce.


Vestito in maniera inappropriata come sempre, mi inerpico su una stradina impervia e solitaria, se vogliamo anche un po’ buia e umida, e mi ritrovo in uno complesso seminascosto, con un cartello arrugginito che conduce ad uno spazio aperto. Qui si staglia davanti a me un alto edificio futuristico incastonato nella collina, fatto di vetri scuri, in completo abbandono. Sulla destra quello che sembra un enorme tunnel murato.
Entro, e in ampia sala dai soffitti altissimi rivestita di tubolari, intravedo “Mio Cugino”, che mi aspetta  con un sorriso e mi dice “di la”.
Lo seguo, ed effettivamente mi trovo davanti ad un corridoio semisferico, murato alla fine, con un buco da cui entra una forte luce, amplificata dall’oscurità del salone in cui mi trovo.

Entriamo, e come per incanto, ci ritroviamo in una fermata della metro. Tutto è cristallizzato nel tempo. I cartelli, i passamano, i circuiti delle obliteratrici, ogni cosa è al suo posto, seppur rovinata dal passare degli anni. La cosa che più mi colpisce è l’illuminazione. Tutti i neon funzionano a pieno regime, in un luogo murato da più di venti anni. E ancor più sconcertante è vedere che le luci di emergenza sono funzionati, quindi se ci fosse  un black out, questo posto dimenticato rimarrebbe illuminato. So che lo sapete, ma ci tengo a ricordare che quella luce per oltre 20 anni la pagavamo tutti noi.

Tralasciando inutili polemiche, ci incamminiamo in questo tunnel spettrale, novelli Lidenbrock, non curanti delle maledizioni che solitamente colpiscono chi profana questi luoghi proibiti. Sul classico pavimento di gomma nero bollato, troviamo pezzi di rivestimento, taniche, cartelli, insomma tutto quello che ci si aspetta di trovare in una metro funzionante. L’aria è umida e dalle pareti scendono rivoli di acqua che formano delle pozzanghere. Avanziamo, completamente soli in questo posto silenzioso e onirico, parlando del più e del meno. Raggiungiamo le sbarre di accesso alla fermata vera e propria. E qui ci appare il nome del luogo in cui siamo discesi. Olimpico Farnesina.


Il cartello è li davanti a noi, blu con scritta bianca, alla fine di un tunnel più piccolo completamente buio, in cui è stata ammassata mercanzia varia.
Ora, prima di continuare  il racconto della discesa mia e di “Mio Cugino” (parlo in prima persona, ma ricordo che  io non sono mai andato, parola di lupetto), devo doverosamente fare un salto temporale e portarvi con me nel 1990.
Quindi accendiamo il flusso catalizzatore, raggiungiamo le 88 miglia orarie, ed eccoci arrivati proprio mentre inizia la prima serie di Beverly Hills 90210.
Vi ricordate? Al terzo posto della hit parade quell’anno c’era Another Day in Paradise, di Phil Collins, al secondo Vattene Amore, di Minghi e Mietta, e al primo la canzone che interessa a noi, Un’estate Italiana, di Bennato e Gianna Nannini.
Era l’anno dei mondiali, non quelli del ’66 come cantava Venditti, ma quelli del ’90, quelli di Schillaci e Baggio, dei pomeriggi e delle serate riuniti in casa, o nei bar, o nelle piazze a soffrire e gioire con gli Azzurri. Dalla prima partita con gli Stati Uniti vinta con un gol di Giannini, alla seconda vinta per il 2 a 0 contro la Cecoslovacchia, fino a passare il girone primi battendo l’Uruguay 2 a 0 con gol di Schillaci e Serena. Pochi ricorderanno il quarto di finale vinto per 1 a 0 con l’Irlanda, ma nessuno potrà mai dimenticare la testa bionda di Caniggia che beffa Zenga al ’68 e ci porta a perdere ai rigori con l’Argentina. Ma prima di tutto questo, prima della radio che cantava Notti Magiche, prima dei caroselli per le strade e dei bagni nelle fontane, prima c’era stato il pre-mondiale delle costruzioni inutili. Ossia una sorta di gara a chi, tra enti pubblici e privati, riusciva a intascarsi più soldi costruendo qualunque cosa, con la scusa targata Italia 90, con tanto di simpatico pupazzetto con la testa di pallone. In questo mondiale a parte, dove vinceva chi riusciva a rubare di più, un giorno scese in campo una squadra di fuoriclasse.

E questo ci ricollega al mondo sotterraneo in cui mi trovo con “Mio Cugino”. Infatti questa squadra di All Stars del peculato propose di costruire nuova fermata della metro vicino lo Stadio Olimpico, per permettere ai tifosi di raggiungere l’impianto più agevolmente. E fin qui nulla di strano, anzi. Certo dato le lungaggini dei lavori, le poche attività li intorno fallirono, alcune famiglie finirono sul lastrico, ma questi erano banali effetti collaterali.
Tra mille ritardi e la paura di non finire in tempo quei lavori che ci hanno consegnato grandiosi stadi rigorosamente non a norma, finalmente per la modica cifra di 81 miliardi di lire dell’epoca, e per una incredibile lunghezza di poco più di 7 chilometri, Roma e il suo stadio non a norma hanno la loro stazione. Logicamente nessuno si pose il problema che una volta scesi dai treni le migliaia di tifosi avrebbero dovuto attraversare a piedi, di notte, la trafficatissima olimpica. Così il giorno prima dell’inaugurazione dei mondiali, il Genio dell’Esercito costruì un ponte in legno, poi tolto a fine torneo, per l’attraversamento.
E qui la realtà si trasforma in commedia dell’arte.
La stazione venne usata solo 8 volte.
Perché vi chiederete?
Forse distrutta dall’ultimo rigore  sbagliato da Serena? Impossibile perché fu parato da Goycoechea.
Il motivo è molto più banale, una tale sciocchezza che se ci si pensa, tanto che la storia di Dylan Dog a paragone sembra la cronaca di una giornata al catasto.
Si perché la causa dell’abbandono era data dal fatto che chi aveva eseguito i lavori aveva sbagliato di qualche centimetro la larghezza del tunnel, quindi due treni insieme non potevano passare.
Neanche avessero preso le misure con la fettuccia gialla da sarto che usa mia madre.
Hanno speso 85 miliardi e non sono riusciti a fare un salto da Leroy Marlin a comprare un metro. Dico io se stavano sulle spese potevano fare un salto all’Ikea, li te li regalano i metri.
Niente, avevano deciso di fare a occhio.
Ma questo ha permesso a me e “Mio Cugino” di poter fieramente affermare di trovarci in un monumento. Il monumento all’incapacità.
Fatta questa piccola digressione storica, dove mi sono dimenticato di dire che chiaramente fu accertato, senza ombra di dubbio, che non era colpa di nessuno, continuiamo la nostra esplorazione. Dal piccolo tunnel buio in cui ci trovavamo, oltre la scritta illuminata, potevamo sentire uno spirare di aria tesa, continua, fredda, che portava l’odore tipico delle cantine dei vecchi palazzi di campagna.
Usciamo ci troviamo nel tunnel principale.
Emozionante.
Immenso, tetro, percorso da folate di vento, completamente illuminato. La banchina non c’e’ più, si deve saltare e scendere in una specie di fango grigio. Da qui possiamo vedere la grandezza di questa opera, a destra e a sinistra le barre dei neon di susseguono a perdita d’occhio. Dopo aver controllato di non aver assolutamente nulla che potesse aiutarci in caso di pericolo, cominciamo a camminare. Sento un rumore forte da un lato del tunnel, è una perdita d’acqua, ne esce moltissima, non so da quanto e per quanto tempo sia così, ma so che è sbagliato.


Andando avanti scopriamo quadri elettrici, armadietti impolverati, attrezzi, e la consapevolezza che se ci fosse accaduto qualcosa, ci avrebbero ritrovato, forse, in un prossimo mondiale in Italia,  sperando di non perderlo ai rigori.Il tunnel sembra veramente non avere fine, così, sorridendo, a decine di metri sottoterra, facevamo una delle passeggiate più assurde di sempre.
Approfitto di questa lunga camminata per darvi qualche altra breve ma esauriente notizia di costume. La stazione già ad ottobre del 1990 fu abbandonata e saccheggiata.
Per un periodo nei suoi locali furono girate le puntate del Seven Show, che non so quanti di voi ricorderanno ma a me faceva ridere. Poi le chiavi della struttura passarono a un tale (non dico chi per ovvie ragioni) che per la modica cifra di un milione di lire, affittava i locali per feste private. Infine venne abbandonata, se ne andarono tutti, dimenticandosi di spegnere la luce.


Ma continuiamo la passeggiata. Nella forma curva tutti i suoni venivano amplificati, rumori incomprensibili erano seguiti da lunghi silenzi rotti dal vento, era veramente un viaggio ai confini della realtà. Saremmo potuti arrivare ovunque. Ma non pensavamo di arrivare in una delle situazioni più surreali della mia vita. Forse. In realtà spesso la mia vita è talmente surreale che ormai non ci presto più molta attenzione.
Era molto che camminavamo, quando in lontananza, davanti a noi, scorgemmo una luce diversa, accompagnata da dei rumori e da un allargamento del tunnel.


Continuammo a camminare, ed ecco la scena che si presentò davanti ai nostri occhi. Una serie di giganteschi macchinari gialli con alcuni uomini immobili che ci fissavano, in modo molto strano. Noi senza pensarci avanzammo tranquillamente, arrivati davanti al primo che sembrava il capo dal vestiario, con voce serena chiedemmo “Salve, dove siamo qui?” L’operaio, bianco come un lenzuolo, ci rispose qualcosa tipo “Trionfale”, e noi “A bene” salutando per tornare indietro. L’operaio a mezza voce esclama “ma voi da dove venite? Abbiamo visto due figure nere che si avvicinavano qui sotto, siamo morti di paura!” E noi, “Nulla, veniamo da laggiù, stavamo facendo quattro passi, arrivederci buon lavoro”. Neanche ci hanno risposto, Sono rimasti così a vederci andare via.
Chissà che storia avranno raccontato la sera a casa.
Dopo un lungo cammino di ritorno, ripercorrendo il tunnel iniziale, ci ritrovammo davanti all’ormai famoso buco nel muro, stavolta per andare dalla luce alle tenebre. Passo l’androne ed esco all’aria aperta. Alzo gli occhi e vedo un cartello arrugginito con la scritta Italia 90. Mi chiedo il perché degli sprechi, dei miliardi buttati, della giustizia insudiciata, ma soprattutto mi chiedo con rabbia e un nodo in gola, perché  Zenga non è rimasto tra i pali su quel colpo di testa di Caniggia invece di andare a farfalle.
Domande che non troveranno mai risposta.
Ma ad AltroQuando non ci sono risposte, ci sono solo storie, come questa. Sicuramente una storia atipica, di un luogo non visitabile, ma che spero di avervi fatto conoscere, sia nella sua storia che nella sua atmosfera.
Un ringraziamento speciale va ovviamente a “Mio Cugino”, che ritroveremo in altre storie, almeno finché si sopravvive.
Per ora vi saluto, con la promessa di ritrovarci molto presto…anche se c’era un ultima cosa che volevo dire ma che ora non ricordo…ah si ecco..non sono mai stato nei lupetti…

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2 risposte a Ultima fermata: L’Incubo!

  1. Simona Benedetti dice:

    che dire… una storia da 10 e lode! una suspense incredibile, pareva di sentire l’odore di umido e confesso che ho avuto paura che l’autore stesse raccontando la sua ultima storia…. LOL!
    Sei forte Altroquando!

  2. Fabio dice:

    Così non so che rispondere…grazie Simona!!! Grazie di cuore!…In effetti ci sono volte che credo anche io che sia l’ultima scorrazzata…poi per fortuna mi dice sempre bene!!!! La prossima la facciamo più tranquilla!

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