Avete presente quando il crimine incontra il fato, il fato la meraviglia e la meraviglia due personaggi in cerca di una storia?
Se lo avete presente è inutile che continuiate a leggere questo racconto.
Nel caso non lo aveste presente invece, prendetevi una pausa, un buon caffè che non guasta mai, e leggete con attenzione, cercando di capire l’insegnamento profondo di questo momento di vita.
Prima di tutto devo spendere due parole sul periodo storico che andremo a trattare.
Erano gli anni della vita rock, anni dei quali ricordo fortunatamente poco, altrimenti invocherei Kronos con canti ancestrali danzando seminudo quando Saturno è alto nel cielo per poterci tornare.
I giorni scorrevano sereni, svegliandomi in posti in cui non sapevo di essere andato, cadendo nottetempo nelle tombe, svenendo sui campi da sci lasciando che lo snowboard partisse tipo lama rotante verso potenziali vittime, e sentendomi il Re di Trastevere, dove regnavo in modo stregonesco dal mio castello, il “Ma che sete venuti a fa”, più che un pub un porto sicuro di perdizione.
Tra queste e altre quisquiglie, la fotografia rimaneva il collante di tutto, un miscuglio di passione, professione e “un’ altra media chiara grazie…”
Dove già da solo avevo tutte le potenzialità per finire sul giornale nella cronaca di un colore qualsiasi, ebbi la fortuna di incontrare una persona che potrei definire come la strada ghiacciata quando hai le gomme lisce, e c’e’ nebbia, e ti è finita una lattina sotto il pedale del freno.
Non saprei come definire meglio Sarah, la strana ragazza con cui lavoravo in quel periodo.
Piacevole alla vista e alla conversazione, ad un primo sguardo poteva apparire indifesa e a tratti umana. In realtà è come quando sei in acqua a fare lo scemo con la maschera e il boccaio, mentre dietro la tua spalla destra appare lenta l’ombra sempre più grande di uno squalo bianco con due mitragliette al posto delle pinne.
E tu sei ancora li a fare lo scemo con la maschera e il boccaio.
In realtà il problema è che io dovrei avere vicino persone che mi frenino, mi smorzino, come si dice a Roma, Sarah invece era il masso che si staccava sopra Willie il Cojote mentre precipitava dal dirupo.
E io ero Willie.
Le nostre telefonate non iniziavano con “ciao” o “pronto” ma con una risata.
Semplicemente perfetta.
Come quando mi lasciò da solo in un manicomio abbandonato, mentre lei era in macchina pronta a scappare.
Insomma da dentro noi ci vedevamo come Starsky e Hutch, ma dal di fuori sembravano Gianni e Pinotto.
Dopo questa doverosa precisazione sui personaggi, inizierei la storia vera e propria, quindi altro sorso di caffè e cominciamo.
CHAPTER ONE: IL CRIMINE
Era un giorno come un altro, non so cosa stessi facendo, ma credo non lo sapessi neanche all’ora, quando mi chiamò Sarah.
Lei vedeva i programmi intelligenti alla televisione, quindi tutta euforica mi parlò di un posto assurdo dalle parti di Pozzuoli, bellissimo, mezzo sconosciuto, dove avrebbe voluto fare delle foto.
Io all’epoca al massimo vedevo Jackass quindi non avevo molti spunti.
Risposi qualcosa di inarticolato non capendo bene di cosa mi stesse parlando, quindi riportai la conversazione su argomenti a me più congeniali, come gli zombi, Sabrina Salerno e i poeti francesi contrari all’ancien regime.
Passarono alcuni giorni, e ci offrirono di fare un servizio durante una sfilata di moda. Per ragioni filosofiche e soprattutto penali questa parte sarà caratterizzata dalla vaghezza più estrema.
Partimmo con vari mezzi di trasporto tra cui una piroga e arrivammo in un luogo oltreconfine, cercando di capire la lingua, gli usi e i costumi di questo strano popolo. Quindi iniziammo a lavorare, scattando foto e commentando tutto in maniera inopportuna.
Quando ad un tratto, un cubo luminoso come la valigetta di Marsellus Wallace attrasse la nostra attenzione. Era il contenitore di un concorso, riservato a una categoria di persone specifiche, che non eravamo noi, che dava la possibilità di vincere un soggiorno in vari posti a scelta.
Neanche il tempo di dire supercalifragilistichespiralidoso e Sarah aveva già riempito le cartoline con i nostri dati e inserite ridendo nella fessura delle probabilità. Nonostante, e si metta a verbale cancelliere, che io gridassi “no, no, non farlo rimaniamo nella legalità come ho sempre fatto nella mia vita”.
Ma era troppo tardi. La cartolina toccò il fondo con un suono di delinquenza. Io dopo trentasei secondi mi ero già dimenticato di tutto.
Continuammo la nostra giornata, tra uno scatto e l’altro, quindi tornai a casa, sereno e rubicondo.
CHAPTER TWO: IL FATO
Squilla il telefono, ma non è il solito squillo.
Rispondo e dall’altro capo della cornetta sento solo ridere, e tra un urletto e una ripresa di fiato, parole sconnesse tipo “non ci puoi credere!”, “ti giuro che è vero!”, “sono seria!”.
Trovata una sorta di tranquillità sentii la voce di Sarah che mi diceva che avevamo vinto, che ci avevano estratto e che saremmo dovuti andare il giorno dopo sul palco a ritirare il premio.
Conoscendo chi mi stava parlando passai le prime sei ore a non credere a nulla di quello che mi veniva detto. Poi, verso la settima ora cominciai ad avere un leggero sospetto.
Alla fine capii che era tutto vero. Il fato ineluttabile, misterioso e incontrastabile aveva deciso di premiare noi. Due criminali del sentimento.
Mi rifiutati categoricamente di andare il giorno seguente sul palco, avendo un barlume di dignità da preservare per gli anni a venire.
Sarah, avendo la faccia come il Kurdistan, mentre stava al telefono con me già era sul palco, a ringraziare stile premiazione degli Oscar.
Ormai il danno era fatto. Non si poteva tornare indietro. Avevamo mille pensieri nella mente, “ci scopriranno?”, “sarà penale?”, ma soprattutto “dove andiamo?”.
Mi ricordai di quello strano posto a Pozzuoli di cui mi aveva parlato, e la buttai lì…ok andiamo a Pozzuoli.
CHAPTER THREE: LA MERAVIGLIA
Partimmo non mi ricordo quando, con la macchine fotografiche, due zainetti e un voucher per un albergo non ricordo bene dove.
Senza navigatore, senza cinture e senza il costo della benzina a tre reni al litro, arrivammo a destinazione.
L’albergo era tipo Shining però girato in Campania da Vincenzo Salemme. Vetusto in modo quasi romantico. Ricco di stucchi, affreschi, crepe e muffa.
Credo che il personale dell’albergo fosse composto da spiriti legati a quel luogo. Tutto aveva una colorazione tendente al grigio, celeste pallido e giallo acido scaduto.
A me piaceva molto.
Eravamo gli unici ospiti a parte alcune altre persone, ma delle quali ho avuto sempre il forte dubbio che fossero altri spiriti legati al luogo per contratto.
Non ricordo assolutamente cosa facemmo, dove mangiammo e cosa vedemmo.
La memoria si riappare direttamente su una strada fuori Pozzuoli, dove su un albero leggo un cartello “Piscina Mirabilis”
Seguendo ancora la strada circondati da uno stupendo esempio di abusivismo tardo manierista, arriviamo in una stradina, dove vediamo un piccolo cancello chiuso, delle scalette che scendono e nulla più.
Rimango un po’ deluso. Praticamente non c’è nulla, e non c’è neanche qualcuno a cui chiedere.
Poi mi ricordo di essere in Campania, e qualcuno a cui chiedere una mano si trova sempre. Certo, ti aiuterà in modo assurdo e poco comprensibile, ma questa è un altra storia.
E’ l’ora di pranzo, praticamente mi trovo nel deserto dei tartari dove riecheggia ovunque il suono delle posate sui piatti. Ma ecco che compare un uomo, così, dal nulla, come la paletta della polizia in un giorno d’agosto.
“Buongiorno, saprebbe dirmi se è possibile accedere al sito archeologico?”
Ora la risposta non è che l’abbia capita molto, ma una volta che sai il sanscrito tiri giù tutto il ceppo, quindi intuii che dovevo chiedere a una signora in una casa li accanto.
Mi avvicino con discrezione, mentre il rumore dei piatti e delle posate si fa più forte, e provo a chiamare educatamente “Signora, mi scusi…” Nulla… Alzo il tono di una tacca, ma niente, quando arrivo a undici tacche e un mezzo “aho”
esce una signora come quelle che piacciono a me, che mi ricordano la mia infanzia. Vestito a fiori piccoli di colore indefinito e parannanza legata in vita. In mano una cucchiarella di legno.
“Ca bbuò?” Credo significasse “cosa vuoi”.
“E’ possibile vedere la piscina mirabilis?”
“Nu’ attimo…teng o’ a pummarola ncopp’o’ fuoco”
Che tradotto suonerebbe tipo “Un momentino ho una pietanza sui fornelli”
Aspettiamo, fa caldissimo, credo, perché non ricordo in che mese eravamo.
D’un tratto esce la signora, ci fa segno di seguirla, è gentile, e ci porta davanti il cancelletto.
Tira fuori delle chiavi dalla parannanza e lo apre. Ci dice di entrare e di richiamarla quando abbiamo finito.
Un po’ perplesso ma divertito entro.
In un secondo il divertimento lascia spazio allo stupore.
La temperatura cala drasticamente e il buio ci avvolge, gli occhi pian piano si abituano, e scendendo le scale ci rendiamo conto di trovarci in un luogo unico.
E’ difficile spiegare a parole, ma anche con le immagini, la potenza del posto. Sembra una cattedrale costruita dai giganti per un culto antichissimo.
Navate, archi, luci e ombre si rincorrono nelle tenebre nel sottosuolo.
E’ una cisterna romana, immensa, qualcosa che in qualunque altro Paese sarebbe valorizzata come una reliquia.
Camminiamo, tocchiamo i pilastri, saliamo le scale, siamo soli, è come se tutto fosse nostro. Nessuno ci controlla, nessuno ci spiega, nessuna ci manda via.
Faccio qualche foto, ma non riesco purtroppo a rendere la maestosità che mi circonda.
Un luogo magico, conosciuto tramite una telefonata, in cui siamo arrivati grazie al fato, ma la cosa più assurda è che siamo entrati in un posto senza eguali con delle chiavi tenute nel grembiule di una signora che stava cuocendo il sugo.
E in tutto questo non posso che vedere qualcosa di romantico, per un millesimo di secondo ho provato quello che provò Goethe nel suo Grand Tour Italien.
Ho vissuto un attimo di ottocento italiano.
E per questo devo ringraziare una ragazza completamente pazza che vede i programmi intelligenti che un giorno mi ha detto “ho visto un posto assurdo dalle parti di Pozzuoli”
CHAPTER FOUR: L’insegnamento
In realtà non c’è nessun insegnamento, perché come dice qualcuno molto più importante di me “la risposta è dentro di te,…ma è sbagliata.”